Nel 1978 uscì Il potere dei senza potere, libro scritto da Vaclav Havel, uno dei protagonisti della Primavera di Praga che, dopo la caduta del muro di Berlino, divenne presidente della Cecoslovacchia. Un testo che ragiona su come le persone oppresse possono organizzarsi contro la tirannia.

Mi è tornato in mente questo libro, con l’inizio della COP28, perché nei dibattiti su cosa fare contro la crisi climatica, alcuni voci sembrano mancare. Voci che invece credo siano tra le più importanti da ascoltare:

le voci delle persone che i gravi effetti del cambiamento climatico li patiscono già.

Ci sono persone già molto danneggiate dal riscaldamento del pianeta. Sono le persone che vivono in paesi con climi già caldi ma non solo: sono le persone povere, che vivono anche nei paesi più sviluppati. C’è anche un acronimo che le indica: MAPA, Most Affected People and Areas.

Come fanno queste persone a far sentire la loro voce? Questo articolo de Il post riflette su come le conferenze sul clima potrebbero essere diverse, forse più efficaci, probabilmente più inclusive. Sia chiaro: di gente alle COP ce n’è in abbondanza, non è questo il problema. Come raccontano Chiara Saccani e Andrea Ghianda nel podcast Ecco la COP, ai lavori di Dubai ci sono circa settantamila persone!

Però c’è una divisione tra la Blue Zone – dove s’incontrano i delegati governativi, dove vengono prese le decisioni – e la Green Zone, dove ci sono i tanti padiglioni e i cosiddetti side events. Qui lo spazio per confrontarsi, dialogare e ascoltare anche le voci dei MAPA spesso ci sono. Ma sarebbe meglio che tra zona blue e zona verde ci fosse più scambio e che le voci delle persone più colpite dalla crisi climatica potessero farsi sentire anche nelle sedi più ufficiali.

In generale, nella nostra comunicazione dovremmo dare molto più spazio di quello che solitamente facciamo alle persone più colpite dalla crisi climatica. Dove ‘dare spazio’ non significa ‘parlare al posto di queste persone’ ma proprio far parlare loro.

Perché sennò la transizione ecologica che realizziamo rischia di ‘salvare’ i privilegiati e peggiorare le condizioni di chi già sta peggio. Rischia di alimentare ulteriormente le disuguaglianze e questo non solo è ingiusto ma è anche una cosa che, nel medio periodo, non può funzionare.