Sto cenando in un ristorante con amici e conoscenti. È la classica situazione in cui si chiacchiera di quasi qualsiasi cosa, in modo non sempre lineare tant’è che a un certo punto, vai a capire perché, il discorso finisce sulle auto elettriche. La catastrofe mi pare inevitabile. Le auto elettriche sono micidiali nell’innescare feroci litigate. Invece no, perché questa volta i presenti, chi più chi meno, concordano con chi ha iniziato a inveire contro le macchine a batteria.

Sarà il consenso condiviso contro il bando delle auto a combustione, ma di lì a poco si passa a criticare la spinta a rendere gli edifici più efficienti e poi ciò che, in generale, «ci chiede l’Europa». Nessuno dei presenti dice che la crisi climatica sia una bufala. Piuttosto si sostiene che chi prende queste decisioni nulla sa di come va il mondo, non sa che la vita vera è fatta di tuonanti motori a scoppio e infissi cigolanti che hai voglia a trovare chi te li cambia senza specularci sopra.

Io sto zitto. Ho scritto un libro sulla crisi climatica, lavoro nella transizione ecologica, ma taccio e ringrazio che nessuno mi tiri in ballo. Non per timore di trovarmi in minoranza: sono persone civili con cui sono in ottimi rapporti, non mi farebbero certo del male, ma perché credo dire la mia sarebbe inutile, se non controproducente. Non mi trovo davanti a una discussione, ma a uno scambio di certezze e a nulla servirebbe infilare anche le mie.

Lasciate in pace lo zio negazionista

Mi è capitato di leggere guide su come controbattere allo zio che nega il cambiamento climatico e che, inevitabilmente, si siede vicino a noi al pranzo di Natale. Articoli interessanti, senz’altro ben documentati, ma a mio avviso non del tutto convincenti. Perché, forse, partono dal presupposto che queste discussioni siano razionali e vadano affrontate portando fatti. Ma ho l’impressione che chi nega la crisi climatica, o la necessità di combatterla, non ragioni a partire dai fatti.

Il punto di partenza di chi nega la crisi climatica è una certa visione del mondo. Solo in un secondo momento cerca i fatti a sostegno di questa visione (e, al giorno d’oggi, in rete si trova davvero qualsiasi cosa).

Ma non è un’abitudine cara solo a coloro che negano la crisi climatica. Tuttə funzioniamo così.

Abbiamo un nostro complesso sistema di credenze e di valori con radici ramificate e non facile da ricostruire, ancora più difficile da decostruire. Poi, certo, se gli anni di istruzione, di esperienza e riflessione non li abbiamo buttati al vento, qualche volta rivediamo le nostre posizioni, ma dubito fosse il caso di quella cena.

Meglio la fuga o lo scontro?

Se avessi contrapposto le mie conoscenze alle cose dette da queste persone, avrei sortito un unico effetto: polarizzare la discussione. Quindi sono fuggito. È stata la scelta giusta?

Credo che l’alternativa ci fosse: fare domande.

Non per costringere le persone ad argomentare, sperando così di portarle a contraddirsi, prima o dopo. Avrei potuto fare domande per farmi un’idea, per  provare a capire da dove arrivavano quelle posizioni. Per cercare un terreno comune – fatto forse più di emozioni che di ragionamenti – su cui potevamo intenderci più facilmente. Ad esempio, essendo tutti genitori, confrontandoci sui timori che abbiamo per il futuro dei nostri figli.

In quel contesto, in quella cena, non ne sono stato capace. Ma credo sia indispensabile imparare a farlo. La polarizzazione fa già abbastanza danni intorno a noi e su questo pianeta. Anche sul clima non ce la possiamo permettere.

Have a cigar

Una volta a casa, mi è venuto da pensare a questo. Neanche molti anni fa, in questa discussione al ristorante, non avremmo avuto davanti a noi solo bicchieri di vino o di birra, ma anche portaceneri zeppi di mozziconi di sigarette e non saremmo stati divisi solo dalle nostre certezze, ma anche da dense volute di fumo. Quel tempo è passato, siamo andati avanti. Magari continueremo a farlo.