Quando abbiamo dato vita al progetto Non So Come Dirtelo ci siamo chiesti: ci occupiamo anche del cosiddetto ‘negazionismo’? Cioè dell’ipotesi secondo cui non è vero nulla, il clima non sta cambiando! E semmai stesse cambiando non sarebbe certo a causa dell’azione degli esseri umani.

Abbiamo deciso di no, per un paio di motivi. Il primo è che il tempo a nostra disposizione – come quello di tuttə – è limitato. Così abbiamo scelto di concentrarci sul come raccontare la transizione ecologica, dando per scontato il perché è necessario farla.

Il secondo motivo ha a che fare con l’efficacia: potremmo essere utili, in un dibattito sull’esistenza o meno del cambiamento climatico e sulle sue cause? Vediamo persone preparatissime – donne e uomini di scienza pure abili a divulgare – discutere con grande pazienza con chi al cambiamento climatico non crede e che, magari, si ancora a miti infondati.

A passi di elefante

Tra questi miti il mio preferito è quello secondo cui Annibale ha valicato le Alpi con qualche migliaio di elefanti. Ciò starebbe a dimostrare che già in passato – era il 218 a. C. – il clima si era parecchio riscaldato. In realtà, il condottiero cartaginese di elefanti sulle Alpi ne portò 37 e li perse quasi tutti: ne sopravvisse solo uno, che di nome faceva Surus.

Lascio da parte gli elefanti e torno al secondo motivo per cui come Non So Come Dirtelo abbiamo deciso di non cimentarci con il cosiddetto negazionismo climatico. E cioè: come potremmo essere utili noi, dove non lo sono accademici e abili divulgatori? Non è una domanda retorica e, nel dubbio, abbiamo preferito tacere, sul negazionismo. Però, seguendo gli scambi su questo tema, una cosa l’abbiamo capita:

la razionalità e il metodo scientifico sono la pietra su cui fondare la nostra azione
ma, purtroppo, non arrivano dappertutto. Bisogna cercare anche altri approcci.

Oltre i confini della scienza

Provo a spiegarmi. Chi nega l’esistenza del cambiamento climatico o il fatto che sia causato dagli esseri umani, non si muove sul piano della scienza. Se così facesse non avrebbe dubbi, perché su poche cose come il cambiamento climatico la comunità scientifica ha costruito un consenso tanto diffuso e raccolto così tante evidenze.

Neppure si può dire che queste persone siano contro la scienza tout-court. Non contestano la teoria della relatività, ad esempio, anzi: la usano con piacere, quando si affidano al GPS per determinare la propria posizione e il tragitto da seguire in un viaggio. Eppure la teoria della relatività ha ottenuto molte – ma molte molte – verifiche sperimentali in meno di quelle ottenute dal cambiamento climatico e le sue cause. 

Dunque c’è altro in ballo. In alcuni casi c’è la malafede, com’è emerso recentemente sul caso della Exxon, industria petrolifera che da decenni sapeva del cambiamento climatico e delle sue cause. In altri ci può essere la voglia di essere bastian contrari, perché da che mondo è mondo rende in termini di visibilità (e mi sembra il caso di alcuni quotidiani nostrani). In altri ancora, e forse è la maggioranza dei casi, si tratta di una posizione dovuta a visioni ideologiche o al timore dei cambiamenti che la crisi climatica richiede. 

Guarda cos’hai fatto… anzi, no, non guardare.

Un’altra spiegazione che ipotizzo è la seguente (e credo vada forte tra chi ha almeno superato i cinquanta, come nel mio caso): la paura di dover fare i conti con un errore che la nostra generazione ha commesso. Non ci siamo accorti di ciò che stava succedendo. Ci siamo occupati di altro – magari cause estremamente serie e nobili – trascurando però del tutto o quasi, quel grosso problema che stava via via crescendo e cioè il cambiamento climatico. Non è cosa da poco, riconoscere di aver fatto un errore così grande e, dunque, meglio convincersi che no, non è vero niente, non c’è nessun cambiamento climatico in atto.

Le basi, cioè le emozioni

Umano, molto umano. Ma se questa ipotesi ha un minimo senso, occuparsi di comunicazione della transizione ecologica, significa occuparsi anche di emozioni. I punti di riferimento restano la razionalità e i risultati della scienza, ma tenere conto delle emozioni è irrinunciabile. Con questo non sto dicendo che cominceremo a occuparci di negazionismo, questo no. Ma che a fianco del cercare di capire – e poi spiegare – sempre più cercheremo di mettere anche l’ascolto e il lavoro su emozioni e sentimenti. Così da riuscire, in definitiva, a coinvolgere e, per quanto possibile, appassionare. Discorso importante, quello delle emozioni. Ci torneremo.

Daniele Scaglione