Il futuro dell’umanità dipende da un singolo ghiacciaio? Davvero? Il titolo riportato dalla copertina qui a fianco suona un po’ sensazionalistico. Ma Internazionale, di solito, non fa titoli sensazionalistici.

In sintesi, la situazione è la seguente. Nell’Antartide c’è un ghiacciaio di nome Thwaitos che, per via della crisi climatica, è destinato a fondersi. È grande come la Gran Bretagna, il Thwaitos, cioè spaventosamente enorme.

Come muore un ghiacciaio

Fondendosi fa innalzare di molto l’acqua di tutti i mari, il che è un disastro e non è neppure la peggiore conseguenza della sua fine. Semplifico e spero di farlo correttamente: il Thwaitos è una specie di tappo. Tolto lui, il mare potrà arrivare a ghiacciai più interni dell’Antartide, li farà fondere e così il livello di oceani e mari s’innalzerà di oltre tre metri a cui corrisponde l’invasione da parte del mare, per chilometri e chilometri, in moltissimi territori del mondo.

La cosa non sarà neppure tanto graduale. Il modo con cui si fonde un ghiacciaio non è paragonabile al pezzetto di burro che si squaglia a poco a poco in padella. Un ghiacciaio a un certo punto perde pezzi, che poi vanno a zonzo per il mare e si fondono più avanti. Il ghiacciaio Thwaitos collasserà, crollerà in mare. È inevitabile e l’impatto sarà enorme.

Quindi sì, il titolo ci sta. Forse avrebbe potuto essere Molto del futuro dell’umanità dipende da questo ghiacciaio, perché il futuro dell’umanità dipende anche da altre cose, ma non è così scentrato.

Dimmi quando collasserai

Ma se le cose stanno così, che senso ha litigare sulle auto elettriche o sulle pale eoliche? Se tutto – o buona parte – del futuro dell’umanità dipende da quel cubetto di ghiaccio il cui destino è quello di collassare, a che serve fare la transizione ecologica?

Un attimo, però: prima di provare rispondere a questa domanda, me ne faccio un’altra. Quando accadrà il collasso del Thwaitos? Sull’articolo riportato da Internazionale si legge: “nel breve termine, forse prima della fine del secolo, il ghiacciaio Thwaitos collasserà, facendo salire il livello del mare di 0,6 metri”. Altre fonti non gli lasciano tutto questo tempo: un articolo di Focus del 9 gennaio 2022 parla di un possibile collasso entro tre anni (il che significa che potrebbe succedere entro il 2024).

Un’altra domanda: una volta che è collassato il Thwaitos, quanto ci vorrà prima che – venuta meno la sua funzione di tappo – vengano giù altri ghiacciai? L’articolo cita Helen Hewitt, secondo cui è possibile, nello scenario peggiore, che al 2300 il mare si sia innalzato di sedici metri. Il che è sconvolgente e però, accidenti, mi appare lontano, davvero lontano.

Riesco a proiettarmi sino a quella data che ritorna tantissimo, quando si parla di cambiamento climatico e cioè il 2100. Riesco a farlo perché in quell’anno mio figlio avrebbe ottantotto anni, vale a dire che ci potrebbe arrivare e il pensiero di mio figlio anziano che lotta contro le devastanti conseguenze della crisi climatica mi angoscia parecchio. Ma caricarmi anche delle sorti di chi verrà dopo di lui, posso evitarlo? Certo, mio figlio potrebbe avere dei figli, che sarebbero in grado di superare di slancio la fatidica fine secolo. Però, adesso, nel gennaio 2022, mio figlio ha dieci anni. È un po’ presto, per pensare ai nipoti.

Solo tre nonni

Eppure, se guardo all’indietro, il 2300 non sembra così lontano. Mio nonno paterno, Riccardo, è nato alla fine dell’Ottocento. Suo nonno – di cui non conosco il nome – è nato all’inizio dello stesso secolo e il nonno di questo nonno ipotizzo sia nato a metà del Settecento. Ecco, sono bastati tre nonni e mi sono spostato di tre secoli. E l’ipotesi che al nonno del nonno di mio nonno Riccardo non fregasse nulla di me, mi dà un po’ fastidio.

È molto difficile gestire la notizia di un ghiacciaio che collassa portando con sé sciagure, che sappiamo tremende, ma fatichiamo a visualizzare. E non sappiamo neppure collocarle bene negli anni a venire, queste sciagure. E soprattutto, una volta compresa la portata di questa notizia, che devo fare? Provo a fare il razionale e rispondere per punti.

  1. Continuare a cercare di conoscere, capire e quando si è capito qualcosa, divulgarlo. «Di nessuna cosa se ne sa mai abbastanza», diceva Bertrand Russell, e la crisi climatica non fa eccezione. Capire è un modo per reagire, per non subire passivamente la situazione e ci aiuta a fare le migliori scelte possibili.
  2. Molto del nostro futuro dipende dal ghiacciaio Thwaitos, ma molto del nostro futuro dipende anche da altre cose – tipo i ghiacciai della Groenlandia – per cui sì, vale la pena occuparsi di auto elettrica e pale eoliche.
  3. Ci sono cose che, anche dovessimo smettere domani mattina di bruciare i combustibili fossili, stanno cambiando e cambieranno, a causa della crisi climatica. C’è un settore di studio e attività che si chiama adaptation, adattamento, che significa gestire l’inevitabile. Dobbiamo raccontarlo e non come accettazione passiva di una sciagura, ma come sfida in cui mettere in campo la nostra fantasia, la nostra creatività, la nostra capacità, quando vogliamo, di fare squadra.

Non è facile, d’accordo. Motivo in più per darsi da fare.

Chi vuol saperne di più sul ghiacciaio Thwaitos può leggere l’articolo di Internazionale o seguire su instagram _ambiversa, cioè Giorgia Ivan, divulgatrice scientifica che al ghiacciaio ha dedicato una storia sintetica e molto chiara.