Poco prima che nostro figlio nascesse, regalai a mia moglie una stampa con il Mandorlo in fiore di Van Gogh, che il pittore realizzò alla nascita di Vincent Willem, figlio di suo fratello Theo e della moglie Jo. Per noi, quel quadro ha un valore particolare. Se venisse imbrattato dagli attivisti di Just Stop Oil, come reagirei? Onestamente, non lo so.

Ho partecipato a campagne contro la pena di morte e la tortura, contro la fame, per i diritti umani in tanti paesi, per l’istituzione di una corte criminale permamente e contro l’uso dei bambini soldati. Da questa esperienza, traggo due conclusioni. Primo, sono state tutte campagne di comunicazione, nessuna esclusa. Abbiamo esclusivamente mandato messaggi, nei modi più diversi.

Secondo, in nessun caso sapevamo in anticipo se e quanto la campagna avrebbe funzionato.

Per quanto nel corso dei decenni si sia studiato il campaigning, non credo sia possibile sapere se quello che farai davvero influenzerà come vuoi chi deve prendere le decisioni che auspichi.

Credo che questo vada tenuto presente quando si ragiona sulle azioni di Just Stop Oil su alcuni tra i quadri più famosi del mondo. Leggo molti pareri piuttosto netti, in massima parte negativi: queste azioni, dicono i più, non aiutano la lotta in favore del clima, anzi, la danneggiano. Personalmente, non ho questa certezza.

Credo che azioni di comunicazione come queste abbiano bisogno di più tempo per essere valutate.

Dipende da cosa suscitano nelle persone, in tutte le persone, non solo in quelle che si affrettano a formulare il proprio giudizio sui social. Dipende da cosa costruiscono, pezzo a pezzo. Dipende da tante cose.

Tre argomenti contrari

Uno degli argomenti che sento portare contro queste azioni è il seguente: allontanano le persone dalla lotta contro il cambiamento climatico. Mi pare un argomento debole. Assumiamo che imbrattare i quadri sia una grande idiozia. Non voler lottare contro la crisi climatica perché qualcuno, in nome di questa causa, fa delle idiozie, significa non aver capito quanto questa lotta sia importante. E l’azione sul quadro non aiuterà a capirlo, certo, ma non credo che lo farebbe neppure un’azione meno eclatante.

Altro argomento che ho sentito e che mi convince poco: chi ama l’arte ama anche la natura, quindi è inutile fare azioni dimostrative che, alla fine, colpiscono chi già è convertito, diciamo così, chi già ha a cuore il salvare il pianeta. Onestamente ne dubito: molti musei e mostre d’arte ricevono finanziamenti da banche che investono ancora moltissimi soldi nelle imprese del fossile. L’amore per l’arte dei loro dirigenti è fuori discussione. Sul loro impegno per il clima ne possiamo parlare.

Un terzo argomento contrario è questo: si finisce a parlare del gesto e non del problema che il gesto vorrebbe denunciare. Mi pare condivisibile ma, anche in questo caso, è difficile avere delle certezze. Perché può essere vero anche il contrario. Può essere  che persone che non si sono mai preoccupate della crisi climatica si facciano questa domanda: perché qualcuno fa cose del genere? Certo, potrebbero darsi una risposta netta e semplice: questi attivisti sono ‘bad or mad‘, cattivi o matti. Ma potrebbero anche avere voglia di saperne di più, sulla crisi climatica.

Un dato che, secondo me, bisogna tenere conto nel valutare queste azioni, è anche questo: contro la crisi climatica si sta facendo poco, davvero troppo poco.

Provare a essere creativi, per smuovere le acque, non è forse necessario, non è forse un dovere?

Naturalmente, senza far danni né male a nessuno e questo, lo riconosco, è forse un altro punto debole dell’azione: la certezza di non fare guai contro queste opere la si ha sempre? Il rischio c’è soprattutto se questi gesti vengono ripresi da altri che, magari, prendono meno cautele. Anzi, forse il rischio più grande è la proliferazione: se questi gesti si moltiplicano, potrebbero  perdere la loro forza comunicativa. Ma come si fa a definire il momento in cui dire ‘ok, adesso basta così?’.

Che direbbe Vincent?

Chissà che ne penserebbe Van Gogh, di queste azioni che colpiscono anche le sue opere. Qualcuno un’idea ce l’ha. A proposito dell’imbrattamento con la salsa di pomodori de I girasoli, in un articolo su The New Statemen,  ripreso da Internazionale del 28 ottobre 2022, India Bourke scrive:

«ho la sensazione che il pittore olandese avrebbe apprezzato questa versione “saporita” del suo dipinto. E penso che dovremmo farlo anche noi».

Perché, scrive Bourke, «l’arte non è mai stata e mai sarà separata dal disordine e dalla fatica della vita quotidiana. Van Gogh lo sapeva benissimo, e questa sua consapevolezza è ciò che ci fa amare la sua arte. Il pittore olandese era un radicale».

In definitiva, non so come reagirei se a essere colpito fosse Il mandorlo in fiore. Forse ci rimarrei male, come se venisse imbrattato lo stesso regalo che ho fatto – che ci siamo fatti – per un evento così importante come la nascita di mio figlio. Ma forse collegherei la cosa, più che alla nascita di mio figlio, al suo futuro. Perché è lui, che oggi ha dieci anni, che patirà di più la crisi climatica, non io.

Daniele Scaglione