Per sei settimane, nell’ambito del progetto Non so come dirtelo, abbiamo registrato ogni mattina un episodio di cinque minuti dedicato a parole e concetti legati alla transizione ecologica. Abbiamo chiamato questo podcast  Parole difficili ma in questi giorni c’è venuto in mente che, forse, potremmo anche ragionare sulle parole sbagliate.

In Europa, soprattutto in quella meridionale, c’è un’ondata di caldo terribile. C’è una grande siccità, le cui conseguenze si fanno sentire in tanti settori, dall’agricoltura alla produzione di energia elettrica.

Un dato tra i tanti mi ha colpito. Lessi qualche tempo fa che al largo del Rio Amazzoni, in Brasile, si può trovare dell’acqua dolce. Ma tanto al largo, anche a cento chilometri dalla costa! Questo accade perché la portata di questo fiume è talmente grande da spingere la propria acqua, che non è salata, molto lontano dalla riva.

Con il Po sta succedendo il contrario. La portata del nostro fiume principale è talmente diminuita che è l’acqua del mare a entrare nel letto del fiume. Anziché trovare acqua dolce in mare, troviamo acqua salata nel fiume, a più di venti chilometri dal punto  in cui il Po entra nel mare, il che genera un sacco di problemi.

Come viene raccontata, questa situazione? Alle volte con parole che, a nostro avviso, sono parole sbagliate, come le seguenti.

Emergenza siccità, o emergenza caldo: «circostanza imprevista, accidente», scrive la Treccani, che aggiunge «di improvvisa difficoltà». Ma qui di imprevisto e improvviso non c’è nulla: queste ondate di calore sono largamente previste da tempo e la siccità pure, come conseguenza di un lungo periodo in cui siamo rimasti senza neve e senza pioggia. Inoltre, quando pensiamo a un’emergenza, pensiamo a qualcosa che passa, destinata a finire. E certo il caldo calerà e la siccità si potrà attenuare, ma entrambe torneranno spesso, e dobbiamo farci trovare prontə.

Clima impazzito. Cantava De Gregori «ma io non ci sto più, e i pazzi siete voi», in una canzone in cui si parla di un matrimonio, ma va bene anche in questo contesto. Il clima non è impazzito, anzi: si comporta nella maniera più logica che possiamo immaginare, una maniera prevista da diversi studi di scienziate e scienziati. La pazzia, se di pazzia si può parlare, va cercata tra noi esseri umani che abbiamo agito in modo sconsiderato, non nel clima.

Temperature anomale. Quando diciamo che qualcosa è anomalo ci riferiamo a qualcosa che non è conforme al consueto, che non è normale (e qui intendo ‘normale’ nel suo significato puramente statistico)? Ma consueto e normale rispetto a cosa? Rispetto al XX secolo? Parlare di anomalia ci fa pensare che le cose torneranno ‘normali’, cioè com’erano nel XX secolo il che è impossibile. Abbiamo presente quando si parlava di una ‘nuova normalità’? Ecco, dobbiamo convincerci che la crisi climatica costruisce una nuova normalità, in cui le ondate di calore saranno sempre più frequenti e la siccità pure. Prepariamoci nel modo migliore, a questa ‘nuova normalità’ e impediamo che la situazione peggiori ulteriormente, che si arriva via a via a sempre nuove – e peggiori – normalità.

Maltempo. No, questa parola non la sentiamo, in un periodo in cui non cade una goccia d’acqua dal cielo. Ma speriamo davvero di non doverla sentire quando l’acqua tornerà a scendere dalle nubi, soprattutto se scenderà tranquillamente, e non sottoforma di diluvio.

Calamità naturale. Qui il problema è sull’aggettivo. ‘Calamità’ sembra opportuna, perché equivale a «Disgrazia, sventura – spiega sempre la Treccani – si dice specialmente di evento funesto che colpisca molte persone». Ma ‘naturale’? Cosa c’è di naturale, in qualcosa che è conseguenza delle attività degli esseri umani, nello specifico dell’aver immesso enormi quantità di gas serra nell’atmosfera?

Non usare parole sbagliate è solo un piccolo passo, naturalmente. Ma serve a costruire una chiara consapevolezza di quello che sta succedendo, per poter poi rispondere in modo adeguato, per poter poi realizzare la transizione ecologica di cui c’è bisogno.

Daniele Scaglione