«Gaza: la UE invita Israele a non utilizzare carri armati alimentati con combustibili fossili». È il titolo di un articolo pubblicato su Lercio.it, il sito umorista che spesso spande sarcasmo a piene mani. Un titolo e un articolo su cui si può discutere parecchio e in effetti ne ho parlato un po’ con Diego Parassole, in un’intervista online da lunedì 13 novembre. Qui vorrei usare questa battuta come spunto per una domanda:

Con quello che sta accadendo in Medio Oriente ha senso parlare di crisi climatica?

La ragione, o forse anche solo il buon senso, fa rispondere ‘sì’: il clima che peggiora alimenta le tensioni che poi sfociano in conflitti. Ma è comunque difficile discutere di fusione dei ghiacci, pale eoliche, carbon footprint ed ESG mentre in una parte del mondo che sentiamo così vicina a noi, ci sono violenza e sofferenza a livelli spaventosi.

Ripeto: il problema non è nella sostanza, è nella forma che deve assumere la nostra comunicazione. Una risposta chiara su come affrontare questa situazione non ce l’ho. Da quando esiste la comunicazione di massa, le emergenze hanno sempre suscitato più interesse dei problemi cronici (e poco importa che queste emergenze siano la conseguenza di problemi cronici trascurati).

È vero però che le alluvioni sono classiche emergenze: hanno un momento di picco limitato a qualche ora, al massimo pochi giorni, sono tragicamente spettacolari, si portano appresso la loro dose di violenza e distruzione. Non sono paragonabili a una pioggia di bombe, a una strage casa per casa, ma certo sono un’emergenza anche dal punto di vista comunicativo.

Il problema è che di alluvioni disastrose se ne registrano sempre di più e questo è un dramma ma è anche un problema di comunicazione: si stanno normalizzando. Ne avvengono così tante e così di frequente che – a meno che non ci finiamo in mezzo – ci colpiscono meno. Un po’ come gli incidenti stradali, per colpa dei quali in Italia muoiono circa tremila persone l’anno. Sono la prima causa di decesso tra i giovani, gli incidenti stradali, ma certo non sono il nostro primo pensiero.

Ancora, la crisi climatica rischia di fare la fine della fame, che uccide più persone al mondo di qualunque altra sciagura, guerre ed epidemie incluse. Ma lo fa in modo cronico, sistematico, mi si perdoni il termine, ‘noioso’, troppo noioso per ottenere la nostra attenzione.

Ripeto, non so se ci sia una risposta a questo problema. Forse, però, per evitare che la crisi climatica finisca sullo sfondo, come tante altre sciagure su cui la comunicazione è debole, insufficiente, dobbiamo sempre più raccontarla per quello che è

 è cioè non solamente un problema tecnico/scientifico, ma soprattutto una storia di persone

tante persone che, proprio a causa della crisi climatica,  affrontano problemi, vivono drammi, soffrono. È di queste persone che dobbiamo, prima di tutto, riuscire a parlare quando parliamo di crisi climatica.

Daniele Scaglione